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Compendio di diritto dei Beni Culturali

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Il diritto, in modo non molto dissimile dall’opera d’arte, è espressione della società del tempo, eppure come affermato dallo storico Nino Tamassia (1890 -1931) “nasce vecchio”, ovvero si limita a recepire dei dati elaborati a monte dal costume.

 

Con questa fondamentale premessa, Fabrizio Lemme, autore del “Compendio di Diritto dei Beni Culturali”, guida i propri lettori alla scoperta dei profili giuridici inerenti la tutela del patrimonio culturale, mettendo a frutto la sua duplice esperienza di collezionista d’arte e di giurista. Tra citazioni letterarie, esempi storici e racconti di vita d’arte, emerge un quadro sintetico ed efficace del diritto dei beni culturali dalla legge unitaria del 1909 alla più recente normativa del 2004.

 

Nato in concomitanza con l’affermarsi dell’identità nazionale, ed evidente espressione della necessità di difendere le testimonianze della propria cultura, il diritto dei beni culturali è materia frammentata anche a seguito dell’unificazione d’Italia. E’ solo con il periodo fascista, con la “Legge Bottai del 1939”, che la legislazione dei beni culturali acquisisce definitivamente carattere unitario e alcuni dei tratti distintivi tuttora recepiti dal vigente Codice dei Beni Culturali ed Ambientali (D.Lgs. n. 42/2004).

 

Caratterizzata, sotto il profilo gestionale, da una forte incidenza del soggetto pubblico, laddove la “tutela” è affidata al potere centrale e la “valorizzazione” di pertinenza regionale, l’amministrazione diretta dei beni culturali è stata oggetto, in questi ultimi anni, di provvedimenti legislativi “numerosi, discontinui e scarsamente coordinati”.

 

Con al vertice il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali (e, oggi, anche del Turismo), coadiuvato da un Segretario Generale, dal Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici e dalla preziosa attività del Nucleo Patrimonio Artistico dell’Arma dei Carabinieri, la struttura del Ministero della Cultura si presenta tutt’altro che leggera.

 

Alle dipendenze del Ministro sono, in effetti, assegnati: cinque Istituti Centrali, tre Istituti Nazionali, undici Istituti dotati di autonomia speciale (fra cui spiccano le Soprintendenze ai Poli Museali di Venezia, Firenze, Roma e Napoli), otto Direzioni Generali e Diciassette Direzioni Regionali. A completare l’elenco vi sono, poi, a livello periferico ottantasei Soprintendenze Regionali, ventitre Soprintendenze Archivistiche e centotre Archivi di Stato.

 

Non ancora incisiva, al contrario, è oggi la presenza dei soggetti privati nella gestione del patrimonio culturale (c.d. gestione indiretta). Eccezion fatta per l’introduzione dei servizi aggiuntivi connessa alla Legge Ronchey del 1993, margini ristretti permangono per l’intervento privato – affidamento, concessione e sponsorizzazione –, peraltro, spesso ulteriormente compressi da una scarsa tempestività e dai numerosi vincoli apposti dal soggetto pubblico.

 

Il Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici, nel precisare che “sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” (art. 10/1), specifica che essi sono oggetto di “tutela” e di “valorizzazione”. Come spiega l’Autore, se il bene è di proprietà pubblica è sufficiente un “interesse semplice” per applicare la tutela, laddove al contrario in caso di proprietà privata l’attrazione del bene nel regime di tutela presuppone “un interesse particolarmente importante, che forma oggetto di un provvedimento dichiarativo”. In effetti, ai sensi dell’art. 12/1 Codice tutte le cose prodotte dall’uomo, culturalmente significative, che abbiamo più di cinquant’anni e delle quali l’autore non sia più vivente “sono sottoposte (alla tutela di legge ai fini dell’espatrio dal territorio nazionale) fino a quando non sia stata effettuata la verifica” di un interesse particolare.

 

Un “particolare interesse” che giustifica alcuni limiti al contenuto della proprietà privata, essendo i beni culturali in possesso del privato soggetti a una serie di vincoli, quali l’alienabilità solo previa offerta allo Stato, che può esercitare il diritto di prelazione (art. 60); la possibilità di restauro e l’amovibilità solo previo assenso dell’autorità di tutela (art. 21); il legame assoluto con il territorio italiano, essendone vietata l’esportazione extracomunitaria e la spedizione intracomunitaria senza la previa autorizzazione dell’autorità competente, ovvero l’Ufficio Esportazione (art.65).

 

“Ma quale è, oggi, il parametro della particolare importanza?”, si domanda acutamente l’Autore del testo, osservando a titolo di esempio come nel caso dell’autorizzazione all’espatrio “un ministro particolarmente preparato, con l’ausilio del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali, dovrebbe emanare una direttiva precisa, come previsto dall’art. 12/2 del Codice, nella quale fissare i parametri di riferimento, per sottrarre il provvedimento di attestato di libera circolazione al mero arbitrio dei vari (diciannove) uffici di esportazione”. Direttiva a oggi non ancora emanata.

 

Un soggetto pubblico, dunque, che come da Costituzione “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9), ma che gode in alcuni casi di una discrezionalità non sempre commisurata alla rispettiva esigenza di tutela del diritto di proprietà privata, anch’esso costituzionalmente garantito.

 

Compendio di Diritto dei Beni Culturali
Fabrizio Lemme
CEDAM, 2013
Euro 12,00


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